2008-02 Barcellona ’36, in rosso e nero [Sceresini]

da Alias (Supplemento settimanale de Il Manifesto) del 16/02/08

POUM, Spagna, 1936

Barcellona ’36, in rosso e nero

Wilebaldo Solano, 91 anni, è «l’ultimo dei sopravvissuti».

A 20 anni è stato uno dei più giovani dirigenti della rivoluzione Spagnola nelle file del POUM.

Ha conosciuto George Orwell e Willy Brandt, combattuto Franco, Stalin, Hitler, Pètain.

Una vita dedicata all’utopia, una vita da vero rivoluzionario, che in Italia mai nessuno ha raccontato

Barcellona, 21 luglio 1936. Due uomini parlano con foga, seduti al tavolino di un caffè.

Il primo è Buenaventura Durruti, la leggenda dell’anarchismo spagnolo. Guerrigliero e sindacalista, è robusto, moro, e porta un grosso fucile appeso a tracolla. L’altro, Andrès Nin: occhiali da intellettuale, capelli ricci, viso curato. È il segretario del Poum, il Partito operaio di unificazione marxista. Ex dirigente dell’Internazionale rossa dei sindacati, ha collaborato con Lenin e con Trotsky. Se ne è andato dall’Urss nel 1930, all’avvento di Stalin: anche lui è nato ribelle.

Di fronte ai tavoli, sfilano lunghi tram colorati di rosso e nero e decorati con le insegne operaie. Da due giorni in città è scoppiata la rivoluzione libertaria. Gli uomini di Franco sono stati sconfitti, le fabbriche collettivizzate. Il potere è in mano ai lavoratori.

Dei due, è Nin il più commosso, e voltandosi verso Durruti esclama: «Guardati intorno: la città funziona. Tutto è gratis e la gente per strada inneggia al socialismo. Ti rendi conto di cosa significa?». Entrambi, di lì a pochi mesi, moriranno ammazzati.

Durruti, combattendo sul fronte di Madrid. Nin, trucidato dagli agenti di Stalin. Anche i sogni, a volte, possono far male.

Oggi Wilebaldo Solano ha 91 anni. Vive a Barcellona, in un palazzaccio popolare a due passi dallo stadio. Al tavolino di quel caffè, il 21 luglio ’36, c’era seduto anche lui.

Lo chiamano «l’ultimo dei sopravvissuti». A 20 anni è stato uno dei più giovani dirigenti della rivoluzione spagnola. Ha conosciuto Orwell e Willy Brandt, combattuto Franco, Stalin, Hitler, Pètain. Prima col fucile, poi nell’esilio, da dietro le sbarre delle prigioni. Una vita dedicata all’utopia, che in Italia mai nessuno ha raccontato.

«Ormai, non sono rimasto che io – spiega sorridendo -. Volevamo cambiare il mondo, abbiamo perso tutto. Tuttavia, se potessi, rifarei ogni cosa».

La sua scelta di campo matura prestissimo, a 16 anni. È il 1932 e Solano si unisce al Boc, il Blocco operaio e contadino di Joaquìn Maurìn. Parole d’ordine: socialismo, rivoluzione, antistalinismo. Nel 1935 il Boc si fonde con l’Ice, la Sinistra comunista iberica. Nasce il Poum: una sigla che resterà nella storia.

Ma intanto molte cose stanno cambiando: nel febbraio 1936 il Fronte popolare vince le elezioni. Un vento nuovo si respira nell’aria. La borghesia ha paura, c’è chi parla di golpe militare e gli omicidi politici sono all’ordine del giorno.

La notte del 19 luglio Solano si trova a casa sua, a Barcellona: «All’alba la radio annunciò che i soldati stavano abbandonando le caserme. Era iniziata la rivoluzione».

Fuori la situazione è caotica: per strada vengono innalzate le prime barricate, mentre le pattuglie sparano a vista. Più avanti, c’era una barricata. Presi la rincorsa e la saltai. “Sono del Poum”, gridavo. Poi vidi la bandiera rossa e capii che ero in salvo».

In serata, i militari iniziano ad arrendersi, e ovunque appaiono enormi scritte rosse e nere: Cnt- Fai. Folle di lavoratori invadono la Rambla.

Di quei mesi, Solano conserva molti ricordi. Esiste una foto che lo ritrae seduto con Nin. In un’altra, sono lui, Nin e Giuseppe Bogoni, un giovane italiano che un giorno sarebbe divenuto deputato.

«Il 19 luglio cadde sulla barricate il segretario generale della Gioventù e io presi il suo posto. Ero membro del Comitato esecutivo del partito. Conobbi molta gente importante». I volontari stranieri, innanzitutto. Bordighisti, trotzkisti, anarchici: «Gli stalinisti arrivarono solo in secondo tempo. Le prime brigate internazionali furono le nostre, quelle del Poum. Ricordo molti italiani. Giunsero a Barcellona alla spicciolata, con un unico desiderio: combattere. Li ribattezzammo “i turisti rivoluzionari”».

Anche George Orwell sceglie il Poum. Solano lo incontra per la prima volta nel dicembre del 1936: «Me lo presentò un altro inglese, John McNair. Orwell era altissimo e arruffato. McNair mi disse: “Dovresti occuparti un po’ di lui. Dice che è venuto qui per combattere. Io vorrei convincerlo a scrivere. Ci ho provato, ma mi ha mandato a quel paese”. E così feci. Lo rividi mesi dopo, durante le giornate di maggio, e gli chiesi: “Allora, hai scritto qualcosa?” E lui: “No, non molto. Stanno succedendo troppe cose”».

Pochi mesi più tardi, lo scrittore darà alla luce uno dei più celebri romanzi del Novecento: Omaggio alla Catalogna.

Nella Barcellona rossa di quei mesi arriva pure Willy Brandt. Ha 24 anni, è segretario della Gioventù della Sap, il partito socialista dei lavoratori tedeschi. Ha simpatie trotzkiste e scriverà: «In Spagna i lavoratori non possono accontentarsi delle riforme democratiche, il loro scopo deve essere la rivoluzione socialista». Anche lui collabora col Poum. Racconta Solano: «Lo incontrai molte volte e diventammo amici. Più tardi, dopo il ’45, andai a Berlino a trovarlo. Gli chiesi di intervenire per salvare la vita dei nostri compagni prigionieri di Franco.

Lui non si tirò mai indietro.

Nel 1937 la rivoluzione inizia a zoppicare. Stalin non la vuole, mentre Mussolini e Hitler inviano uomini e armi in sostegno dei fascisti. Anche molti repubblicani premono per il ristabilimento del vecchio ordine borghese. Col sostegno dei sovietici, i comunisti spagnoli danno il via a una gigantesca campagna diffamatoria.

Scrive la Pravda: «In Catalogna è iniziata l’eliminazione dei trotzkisti e degli anarcosindacalisti. Essa verrà condotta con la stessa energia con la quale è stata portata a termine in Urss». Al centro degli attacchi: il Poum, la Cnt, il potere operaio.

«Fino ad allora gli stalinisti non ci avevano mai dato problemi. Eravamo compagni in armi, ci rispettavamo.

Poi un giorno Treball, il loro giornale, se ne uscì con un articolo incredibile. Improvvisamente noi tutti eravamo diventati «fascisti», e Nin «un agente di Franco». Molti compagni vennero da me a chiedere spiegazioni, eravamo tutti allibiti.

Oggi sappiamo come sono andate le cose. Sappiamo che dietro quelle calunnie c’era Stalin, e c’erano Togliatti, Erno Gero, l’ungherese, e Vittorio Vidali. Alcuni di loro si incaricarono poi, anche materialmente, di molte esecuzioni».

Nel maggio 1937 si passa, come scriverà Victor Serge, «dalle calunnie alle pallottole nella nuca».

Per sei giorni, dal 3 all’8, i lavoratori di Barcellona si ribellano per l’ultima volta, nella più disperata delle resistenze. Per piegarli, arriva l’esercito repubblicano, sotto la guida di un comunista.

Molti sono gli assassinati, e tra di essi due anarchici italiani: Camillo Berneri e Francesco Barbieri.

A giugno il Poum è messo fuori legge. I dirigenti, arrestati. «Ricordo l’ultima volta che vidi Nin. Era il 16 giugno. Qualcuno lo avvertì che lo stavano cercando. Ma lui rispose: “Non oseranno mai”. Tre giorni dopo era già cadavere».

Qualche mese più tardi, anche per Solano inizia l’epoca delle carceri: «Nell’aprile ’38 fui rinchiuso alla Prison de Estado, a Barcellona. Quando mi liberarono, Franco si trovava a due giorni di marcia dalla città. E ancora ricordo l’agente stalinista che, indicando me e i miei compagni, disse: «Questi lasciamoli dove stanno, ci penseranno i fascisti a farli fuori ». Ma per fortuna non andò così». Segue un lungo viaggio verso i Pirenei. Le strade sono ingombre di soldati: è l’esercito repubblicano, in disfatta, che fugge sognando la Francia.

A Parigi Solano inizia una nuova vita, quella dell’esiliato: durerà 40 anni. Sono tempi difficili. In Spagna c’è Franco, in Germania Hitler, in Italia Mussolini, in Urss Stalin. E in Francia arriva Philippe Pètain. È il 1940, e per gli uomini del Poum si riaprono le porte delle patrie galere. Scriverà George Orwell: «Essi furono il fiore del proletariato internazionale, e contro di essi si scatenarono tutte le polizie d’Europa». Solano non fa eccezione. Nel febbraio ’41, i collaborazionisti lo catturano. È processato e condannato.

L’accusa: «Egli è un giovane che alla sua età ha dato prova evidente del suo spirito ribelle». Praticamente una medaglia al valore. La sentenza è durissima: 20 anni di lavori forzati. «Fui trasferito nella Francia sud-occidentale. Prima della guerra ero stato studente di medicina, e fu per questo che mi salvai. Curavo sia i nostri carcerieri che i miei compagni di cella».

Nel maggio del 1944 arrivano i nazisti. Vari militanti del Poum sono prelevati e portati a Dachau.

Tra di essi, vi sono due tra i maggiori dirigenti del partito: Josep Rodes e Ignazio Iglesias. Solano riesce a cavarsela: perché sa rendersi utile, e i francesi preferiscono che resti dov’è. «Solo gli stalinisti non volevano che li toccassi. Dicevano: “Non parlate con Solano, è un trotzkista pericoloso”.

Ma poi, un giorno, uno di loro si ammalò gravemente. Seguirono ore di panico: l’unico medico ero io, che si doveva fare? Ci fu una riunione che durò tutta la notte. Stabilirono che, in fondo, anche io ero comunista, e che forse per questa volta potevano provare a fidarsi. Gli risposi: “Sì, sono comunista, ma non come voi”. E curai il loro malato».

Il carcere viene conquistato dai partigiani nel luglio del ’44. Seguono mesi concitati: la resistenza, la liberazione. Poi, di nuovo, l’esilio. Parigi ha lasciato a Solano varie eredità. Una casa, dove ancora trascorre i lunghi mesi d’inverno, e una moglie. Oggi la sua Barcellona non esiste più. La grande sede dei vecchi sindacati è stata requisita dalla confindustria catalana.

Di Durruti non resta che una tomba senza croci al cimitero di Montjuic. Il corpo di Nin invece non è stato mai trovato,ma c’è una piccola targa che lo ricorda al palazzo di Virreina, dove lo arrestarono.

Il Poum, resuscitato da Solano negli anni dell’esilio, ha tirato i suoi ultimi respiri nell’80. Esiste però una Fondazione Nin, con sede a Barcellona. Wilebaldo Solano ne è il presidente: vive di memorie, in omaggio ai compagni che non ci sono più. E affinché il passato non si ripeta nel futuro.

«C’è solo una cosa che vorrei dire. Ai giovani: studiate, leggete molto. Noi tutti dobbiamo lavorare, persino io che ormai sono vecchio. E un giorno, ne sono sicuro, la storia saprà darci ragione».

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